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      Il primo caso non è possibile senza che si ammetta la uniformità costante e universale dei desideri e del valore soggettivo dei desideri; ipotesi inammissibile.
      Resta dunque il secondo. E allora bisogna che le condizioni richieste dalla convivenza e dalla cooperazione sociale siano nel medesimo tempo le condizioni nelle quali solamente ciascuno riconosca possibile a sé e agli altri il raggiungimento del massimo bene; cioè siano tali, che, se mutassero in qualsivoglia modo, diminuirebbe per ciascuno il bene o aumenterebbe la pena. Quindi la conciliazione perfetta tra i due ordini di esigenze si ha quando le condizioni della esistenza sociale siano ad un tempo le condizioni di una vita per tutti e totalmente, cioè sotto ogni rispetto, desiderabile. E allora il problema si presenta in questa forma: Quali sieno le condizioni oggettive e soggettive, date le quali si ha questa conciliazione. La condotta che corrisponde a queste condizioni è la condotta idealmente giusta.
      Ciò viene a dire che si deve far astrazione - nel rispetto oggettivo - da ogni causa di contrasto tra vita sociale e vita individuale, e - nel rispetto soggettivo - da ogni conflitto nella coscienza tra fini comuni e generali, e fini propri e particolari; ossia che bisogna supporre una società ideale di uomini giusti, per i quali il fine prossimamente supremo, il fine desiderabile prima e a preferenza di ogni altro, sia il mantenimento delle condizioni di esistenza individuale e collettiva attuate in tale società.
      Nell'osservanza della norma che risponde a quel fine l'homo iustus trova la condizione ugualmente necessaria di ogni bene comune e di ogni bene particolare proprio e altrui.


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Prolegomeni a una morale distinta dalla metafisica
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 61