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      Apprendere come le cose sono, è tutt'altra cosa dal valutarle(3).
      Ora la conoscenza, o è teoretica, e ci dà oggetti e fatti e rapporti di oggetti e di fatti come sono, cioè come dobbiamo concepirli per comprenderli; o li interpreta e li giudica come utili o nocivi, buoni o cattivi, preferibili o non preferibili, superiori o inferiori, e non è piú conoscenza, o almeno non piú conoscenza soltanto; e il criterio del buono e del cattivo, dell'utile e del disutile, del bello e del brutto è criterio di preferenza, di scelta, di valutazione che essa non trova nelle cose se non perché ve l'ha già posto, e ponendovelo ha ubbidito, consciamente o no, a un interesse che non è teorico, ma è pratico nel senso che può restare a questa parola anche dopo le analisi del pragmatismo: pratico nel senso che, se si suppone tolta la volontà, è tolta non soltanto la molla che spinge a ricercare e a trovare le distinzioni tra gli oggetti, ma sparisce la distinzione stessa tra gli oggetti.
      Ora, quando si intenda chiaramente e in tutta la sua portata questa irreducibilità dei giudizi di valore ai giudizi di esistenza o causali o teoretici (o percettivi, come mi parrebbe preferibile chiamarli), e la conseguente impossibilità di ricavare gli uni dagli altri, di pretendere che un giudizio di ciò che è, possa servir di fondamento a un giudizio di ciò che vale o che merita di essere, apparirà piú manifesta la insolubilità della questione del fondamento intesa in questo senso e cercata in questa direzione, e le ragioni di questa insolubilità.


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Il vecchio e il nuovo problema della morale
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
1945 pagine 103