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      Perciò ogni tentativo di assegnare un bene supremo che lo giustifichi, si riduce all'uno od all'altro termine di questa alternativa: o di ammettere che questo bene è già esso stesso il valore morale che si crede di derivarne, o di mostrare che ciò a cui si dà valore morale, è valore anche per altri rispetti; cioè sarebbe un valore (di altro genere) anche se non fosse valore morale.
      I tentativi che si raccolgono intorno al primo tipo (fine: la felicità, o il piacere) riescono di solito (quando e nella misura che possono) a quest'ultimo risultato; quelli del secondo tipo (fine: il possesso del divino, l'avvicinamento a Dio, la santità) riescono di solito al primo: a presupporre quel che credono di derivare.
     
     
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      Dell'utilitarismo in generale e delle sue diverse forme sarebbe fastidioso, e non è qui necessario, ripetere per la centesima volta le critiche note.
      Basta mettere in chiaro quel che meno fu notato e che piú importa al nostro scopo: cioè non tanto le lacune, le insufficienze e le incongruenze dei tentativi, ingegnosi assai piú che fortunati, di ricondurre le norme morali al criterio dell'utilità, e di mostrare le coincidenze tra il contenuto delle norme morali e il contenuto delle regole utilitarie, quanto la ragione per la quale la derivazione è impossibile; o, quando appare possibile, dissimula in realtà una petizione di principio. Supponiamo pure che si ammettano cose troppo manifestamente arbitrarie: che la felicità sia non un nome vago, un recipiente vuoto nel quale ciascuno versa il liquido preferito (e che non è sempre neppure per la stessa persona il medesimo) ma abbia un contenuto determinato (poniamo l'acquisto o il possesso di certi beni: salute, amore, potenza, gloria, simpatia, cultura, ingegno, soddisfazione della propria coscienza; e che tra questi beni sia possibile perfetta conciliazione ed armonia); e che si possa dimostrare davvero, e non per salti o per ripieghi, che il nodo non pure piú sicuro, ma il solo veramente sicuro e indispensabile per raggiungerla, sia l'osservanza costante delle norme morali.


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Il vecchio e il nuovo problema della morale
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
1945 pagine 103

   





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