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      Ma appunto il criterio di questa bontà è il criterio morale; ed è il non sapere conciliare i fini apparenti con l'esigenza morale che induce l'opinione o la certezza di fini ulteriori che si accordino con essa.
     
     
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      Dopo quanto s'è detto riuscirà piú chiara l'analisi delle forme principali nelle quali si presenta, e si è presentata storicamente, la dottrina del fondamento autoritativo della morale.
      Se la distinzione tra il potere e l'esigenza morale che lo legittima non è superata, come s'è visto, neppure quando si unificano i due termini nel concetto di un'autorità che sia insieme irresistibilmente potente e indefettibilmente morale, tanto piú manifesta sussisterà nelle forme in cui l'unificazione non è posta, o l'adeguazione è incompleta.
      Ma restano, almeno all'apparenza, due vie: a) o negare ogni valore alla coscienza morale come tale, e fondare ogni valutazione, sul potere che la pone a suo arbitrio; b) o trasferire il criterio della valutazione morale dalla coscienza personale a un'altra coscienza, impersonale o collettiva, la cui autorità viene da qualche cosa di diverso che dal suo accordarsi totale o parziale con la coscienza della persona.
      a) Sulla prima tesi non c'è da osservare che questo:
      Che essa o non risponde alla domanda alla quale pretende di rispondere; perché non è dire donde venga l'autorità della valutazione morale negarle ogni valore, per riconoscere soltanto il potere che la impone, ma che potrebbe imporre il contrario.
      O non toglie se non a parole la distinzione, che ritorna attraverso a qualsiasi sottigliezza, tra l'arbitrio e la giustizia, tra la forza e il bene.


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Il vecchio e il nuovo problema della morale
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
1945 pagine 103