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      «Egli vede bene che senza dubbio una natura, malgrado una tale legge universale, potrebbe sempre ancora sussistere, anche quando l'uomo (come l'abitatore del Mar del Sud) lasciasse arrugginire i suoi talenti e non pensasse che a volgere la sua vita verso l'ozio, il piacere, la propagazione della specie, in una parola, verso il godimento; ma egli non può assolutamente volere che questa divenga una legge universale della natura e che ciò sia innato in noi come istinto naturale. Perché come essere ragionevole egli vuole necessariamente che tutte le facoltà siano sviluppate in lui». (Fondazione, Parte II).
      La medesima considerazione è ripetuta a proposito dall'altro esempio (il 4°) in cui si fa l'ipotesi del brav'uomo, che si propone di non far del male a nessuno, ma quanto all'adoperarsi nei bisogni altrui è del parere: ciascuno per sé, e Dio per tutti. «Quantunque sia possibile che sussista una legge universale della natura conforme a quella massima, è impossibile di volere che un tale principio valga come legge della natura»(12).
     
     
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      Per il Kant dunque l'universalità della massima non è criterio della sua bontà e del valore morale della volontà che vi si conforma, se non perché essa è una prova dell'accordarsi della massima seguita nell'azione con la natura dell'essere ragionevole, con la legge posta dalla Ragione, che è la legge stessa morale(13). Soltanto intesa cosí la formula (la 3a della Fondazione) della volontà di ogni essere ragionevole che istituisce per mezzo delle sue massime una legislazione universale, o nei termini della Critica della ragion pratica (op. cit., p. 30): «Opera in modo che la massima del tuo volere possa valere insieme come principio di una legislazione universale»; e coll'autonomia del volere come principio di tutte le leggi morali e dei doveri conformi ad esse (op. cit., p. 33). E soltanto cosí si può intendere come egli creda di derivare dall'universalità la formula famosa e piú feconda (ma feconda in quanto dà un contenuto all'universalità, non in quanto semplicemente ne riceve la forma): «Opera in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre ad un tempo come fine e non mai soltanto come mezzo».


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Il vecchio e il nuovo problema della morale
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
1945 pagine 103

   





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