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      È dunque una condizionalità necessaria, permanente e insurrogabile, in forza della quale ciascuno dei detti tipi dovrà riconoscere a siffatti valori condizionanti una superiorità, se non di pregio intrinseco, di precedenza imprescindibile sui valori diretti e finali che ne dipendono.
     
     
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      Non occorre lungo discorso per intendere come per effetto del medesimo rapporto il filantropo potrà essere condotto a riconoscere i detti caratteri di condizionalità anche a qualità attitudini forme di attività, alle quali o non potrà attribuirli o dovrà forse attribuire un valore negativo, o di ostacolo, ossia un disvalore, il mistico o l'esteta; e inversamente; e come perciò sarà possibile una distinzione tra i valori propri esclusivamente di ciascun tipo di valutazione, e i valori condizionanti comuni a qualsiasi ordine, dato (come gli esempi citati dimostrano possibile) che ve ne siano di cosiffatti.
      Questi valori comuni avranno dunque oltre ai caratteri già notati, anche quello di essere strumentali rispetto a quale si voglia criterio di valutazione che sia posto come normativo; cioè avranno una condizionalità universalmente necessaria permanente e insurrogabile.
     
     
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      Aggiungiamo ora un nuovo elemento all'ipotesi; e supponiamo che tanto il filantropo quanto lo speculativo e il mistico e l'esteta riconoscano, ciascuno, come l'ordine dei valori morali, quell'ordine di valori che risponde alla direzione tipica della propria coscienza.


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Il vecchio e il nuovo problema della morale
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
1945 pagine 103