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      In questa devozione a un Valore sentito e voluto come valido per sé all'infuori di ogni interesse puramente soggettivo e accidentale dell'individuo è già la nota caratteristica della religiosità; nota che è rilevata, sebbene con qualche incertezza e confusione, anche nel linguaggio comune. Dove il verbo «adorare» significa appunto devozione a un oggetto, al quale si riconosce un valore incomparabile e a cui si è disposti a sacrificare ogni altro bene.
      Ma questa devozione all'idealità, perché sia piena, effettiva e costante, suppone o richiede le disposizioni spirituali, le condizioni soggettive, nelle quali e per le quali si viene attuando; richiede da noi, in noi, il potere di tenerle fede.
      Ora, quando noi concepiamo l'ideale morale come un Ente, una Virtualità, una sorgente di energie spirituali, a cui attingiamo il potere nostro di realizzarlo in noi stessi, e a cui possono attingere i partecipi della stessa idealità il medesimo potere, e quella virtualità è sentita come divina, e lo spirito perfetto che lo realizza in sé come Dio, la nostra devozione è religione.
     
     
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      Vi è dunque per questo rispetto una certa analogia nei rapporti della Morale con la Politica e con la Religione. Il Potere politico realizza le condizioni esteriori della moralità, la Virtù divina realizza le condizioni interiori.
      E poiché l'attuazione del valore morale consiste essenzialmente nell'atto del volere, cioè è interiore e spirituale, e la conformità materiale ed esteriore trae il suo valore dalla prima; cosí il Potere politico potrà apparire alla coscienza religiosa come mezzo e strumento del Potere religioso.


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Il vecchio e il nuovo problema della morale
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
1945 pagine 103

   





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