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      Quali di costoro supporrassi, che sien per entrare più vigorosamente nella mischia, quelli che per guiderdone della loro fatiga sperano la conservazione della loro libertà, o quelli, che null'altro debbono aspettarsi in ricompensa delle ferite, che vi riceveranno, o vi daranno, se non la schiavitù de' vinti? I primi hanno sempre avanti agli occhi la felicità della loro vita passata e la speranza d'un egual bene per l'avvenire. Non rammentano tanto ciò, ch'hanno da soffrire nel breve tempo, che dura una battaglia, quanto ciò che converrà soffrire in perpetuo ad essi, a' loro figliuoli, ed a tutta la loro posterità. I secondi altro non hanno, chè gl'inanimi, se non un leggiero stimolo d'avara cupidigia, che spuntasi immantinente contra il pericolo, e che non può mai eccitare in loro tanto ardore, che non debba necessariamente estinguersi nella minima goccia di sangue, che scorra dalle loro piaghe. Nelle famose battaglie di Milziade, di Temistocle, di Leonida, che già da due mil'anni fa furon date, e vivono ciò non ostante ancor fresche oggi giorno ne' libri, e nella memoria degli uomini, come se seguite fossero l'altr'ieri in Grecia pel bene di lei e per esempio di tutto il mondo, qual cosa credesi mai, che abbia dato ad un così picciol numero d'uomini non già il potere, ma il coraggio di sostenere la forza di tante navi, che lo stesso mare sentivasene sopraccaricato, e di sbaragliare tante Nazioni, sì numerose, che tutte le greche Squadre non avrebbero potuto, se fosse stato d'uopo, compier il numero de' Capitani di tutti gli eserciti nemici, se non che sembra, che in quelle gloriose gior


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Discorso di Stefano della Boetie della schiavitù volontaria o il Contra uno
Etienne de la Boetie
di
1799 pagine 55

   





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