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      I tiranni di Roma immaginarono ancora un altro metodo, cioè d'invitare spesso a banchetto le pubbliche decurie, ingannando, come doveasi, quella plebaglia, che lasciasi adescare coi piaceri del ventre più che con qualunque altra cosa. Il più saggio di tutti costoro non avrebbe ceduta la sua scodella di zuppa per ricuperare la libertà della Republica di Platone. I tiranni faceano largizioni d'un sesterzio, d'un quartaio di vino o d'uno staio di biada(14), ed in tali occasioni era una vera pietà l'udire come tutti gridavano. Viva il re. Non riflettevano gli scioperati, che allora altro non faceano, se non riavere una porzione del loro, e neppure quello stesso, che ricuperavano, avrebbero potuto aver dal tiranno, se prima costui non lo avesse loro rapito. V'era fra coloro chi raccoglieva oggi il sesterzio, ed empievasi fino alla gola al pubblico convito, benedicendo per la loro generosità Tiberio, e Nerone, che venendo costretto domani di abbandonare i suoi beni all'avarizia, i suoi figli alla libidine, e perfino il suo stesso sangue alla crudeltà di codesti splendidi imperatori, restavasi muto, come una pietra, ed immobile come un ceppo di albero. Sempre la plebe ha peccato in ciò, d'essere cioè proclive, e dissoluta in que' piaceri, che non potea con onestà ricevere, ed insensibile a quei torti, ed a quel dolore, che non avrebbe potuto onestamente tollerare. Non trovasi alcuno a' di nostri, che sentendo parlare di Nerone non tremi di capo a piedi al solonome di quell'infame mostro, e di quell'orrida, ed immonda fiera.


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Discorso di Stefano della Boetie della schiavitù volontaria o il Contra uno
Etienne de la Boetie
di
1799 pagine 55

   





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