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      E pure convien dire, che dopo la di lui morte, non meno brutta della sua vita, il nobile popolo Romano(15) n'ebbe tale cordoglio (rammentando sempre i giochi, e i banchetti di lui) che poco mancò, che non prendesse la gramaglia: così ci tramandò Cornelio Tacito, grande e grave autore e degnissimo di fede. Nè può ciò sembrare strano a chi considera quello, che codesto popolo stesso fece alla morte di Giulio Cesare, colui che diè bando alle leggi, ed alla libertà. Nel qual uomo non trovo altro di buono, a creder mio, se non la sua umanità, la quale però (checchè se ne predicasse) fu ancor più dannevole, che non la più grande crudeltà del più fiero tiranno, che giammai esistesse. Avvegnacchè per verità fu appunto cotesta velenosa dolcezza, che inzuccherò al popolo Romano la pillola della schiavitù. Ma dopo la sua morte quel popolo, che avea ancora nella bocca il sapore de' di lui banchetti, e nella mente la ricordanza delle sue prodigalità, per fargli gli onori funebri, ed alzargli il rogo, ammonticchiò(16) a gara i banchi della Piazza, e gli eresse poi una colonna(17) coll'iscrizione al Padre della Patria; e tanto l'onorò dopo la sua morte, quanto non avrebbe dovuto onorare alcun altr'uomo del mondo, se non che per avventura, co-loro, che l'aveano trucidato. Non obliarono già i Romani imperatori d'assumere comunemente il titolo di tribuni della plebe, sì perchè una tal carica era riputata santa, e sacra, come ancora per esser essa stata istituita per la protezione, a difesa del popolo, e col favore di tutto lo stato.


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Discorso di Stefano della Boetie della schiavitù volontaria o il Contra uno
Etienne de la Boetie
di
1799 pagine 55

   





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