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      A che cosa dovesse riuscire cotesta liberazione universale dell'uomo, lo sappiamo già. Ma ciò che qui più importa gli è che tali persuasioni partivano da un concetto del diritto, per cui questo rimaneva come scisso dalle cause sociali che lo producono. Cosicché la ragione, cui cotesti ideologi si appellavano, si riduceva a togliere al lavoro, all'associazione, al traffico, al commercio, alle forme politiche ed alla coscienza, tutti i limiti e tutti gl'impedimenti, che tornano d'impaccio alla libera concorrenza. Come di ciò s'avesse l'esperienza nella Grande Rivoluzione del secolo passato, ho detto già nell'altro capitolo. E se c'è ora chi si ostini a discorrere di un diritto razionale, che domini la storia, di un diritto, insomma, che sarebbe un fattore anziché un semplice fatto della evoluzione storica, vuol dire che costui vive fuori del nostro tempo, e non ha inteso come la codificazione liberale ed egalitaria abbia già segnata in via di fatto la fine e il termine di tutta cotesta scuola del diritto di natura.
     
     
      Per diverse vie si è giunti in questo secolo a ridurre il diritto, da cosa razionale in cosa di fatto; e perciò in cosa corrispettiva a determinate condizioni sociali.
      Prima di tutto l'interesse storico, allargandosi ed approfondendosi, ha portato le menti a riconoscere, che per intendere le origini del diritto non bastava, né incominciare dalla ragione, né fermarsi all'esame del Diritto Romano. I diritti barbarici, e le usanze e le consuetudini dei popoli e delle società tanto disprezzate dai razionalisti, son tornate in onore; dico, teoricamente.


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Del materialismo storico
Dilucidazione preliminare
di Antonio Labriola
pagine 163

   





Grande Rivoluzione Diritto Romano