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      E torniamo pure al suo casellario.
     
      La scorsa su la dottrina dello stato e del diritto (pp. 387-426) è rivolta principalmente a combattere la veduta secondo la quale quello e questo sono come delle formazioni secondarie e derivate per rispetto alla società in genere. Lo stato esiste dalle origini della evoluzione, ed esisterà sempre per ragioni che l'intelletto e la morale approvano (p. 405); e poi l'uomo "per naturale disposizione sua non solo comanda volentieri, ma si lascia anche comandare, e volentieri obbedisce". Le disuguaglianze naturali legittimano la gerarchia (p. 406). E sta bene! Ma dato ciò, perché affannarsi poi a dimostrare, che il diritto non è derivabile dalle condizioni economiche; a che pro spendere del tempo a combattere le dottrine egalitarie dell'Engels, e perché appellarsi alla solenne autorità del Bernstein (p. 409), che avrebbe rimesso in onore lo stato (figurarsi, proprio in un articolo della "Nene Zeit"!), come quella tal cosa che i socialisti non voglion più abolire, ma soltanto e semplicemente riformare? Ma gli è tanto facile di trovarsi d'accordo col volgare senso comune, il quale non si rifiuta di ammettere, precisamente come fa il nostro signor Masaryk, che vi sono disuguaglianze giuste e di quelle ingiuste (sic!). Magari ci desse lui la misura giusta!
      Passo sopra al capitolo intitolato nazionalità ed internazionalità (pp. 426-65) - dove l'A., oltre a mostrarsi indignato per la slavofobia di Marx, fa delle utili osservazioni su quegl'impedimenti all'internazionalismo, i quali nascono spontanei dallo spirito nazionale - per fermarmi un poco su gl'insigni paradossi che pronuncia a proposito della religione (pp.


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Del materialismo storico
Dilucidazione preliminare
di Antonio Labriola
pagine 163

   





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