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      Di qui il frequente passare attraverso alle illustrazioni di mera storia descrittiva per poi tornare, dalla dichiarazione delle premesse di fatto, alla esplicazione genetica del modo come quelle premesse, data la loro concorrenza e concomitanza, debbano funzionare tipicamente, formando esse la struttura morfologica della società capitalistica. Da ciò dipende, che quel libro, che non è mai dommatico, appunto perché critico, ed è critico, non nel senso subiettivo della parola, ma perché ritrae la critica dal moto antitetico e quindi contraddittorio delle cose stesse, anche nei punti nei quali arriva alla descrittiva storica non si perde nello storicismo volgare, il cui segreto è questo: rinunziare alla ricerca delle leggi del variare, e alle varietà semplicemente enumerate e descritte appiccicare l'etichetta di processo storico, di sviluppo o di evoluzione. Il filo conduttore di questa genesi è il procedimento dialettico; ed è questo il punto scabroso, che mette in tristissima condizione tutti i lettori del Capitale, che nel leggerlo vi portino dentro gli abiti intellettuali degli empiristi, dei metafisici, e dei padri definitori di entità concepite in aeternum. La fastidiosa questione che si è fatta da molti sulle contraddizioni, che, secondo loro(5), correrebbero fra il III e il I volume del Capitale (qui intendo di parlare dello spirito della disputa e non delle particolari osservazioni perché, di fatti, il III volume è tutt'altro che un lavoro compiuto, e può offrire materia di critica anche a chi professi in genere gli stessi principii), si vede come alla più parte di questi critici manchi la nozione esatta del procedimento dialettico.


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Discorrendo di socialismo e di filosofia
di Antonio Labriola
pagine 183

   





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