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      Questa teoria è stata di certo un progresso su la giustizia di corpo, e su i privilegi del clero e dell'aristocrazia; e per questo rispetto è una vittoria storica l'enunciato: la legge è eguale per tutti. Inoltre, cotesta teoria, riducendo il punire alla sola garenzia giuridica dell'ordine legalmente costituito, si contenta di colpire ciò che è un danno o una lesione all'ordine stesso, e non s'addentra più nella coscienza. Spoglia com'è di ogni carattere religioso, non colpisce il pensiero e l'animo. Non è più l'istrumento di una chiesa, di una credenza, di una superstizione. È prosaico cotesto diritto penale, come è prosaica tutta la società capitalistica. E questo è un altro trionfo - salvo alcune lievi inconseguenze - del libero pensiero. In una parola, si punisce l'atto, non l'uomo; si punisce il turbatore di quell'ordine che si vuol difendere, non la coscienza, sia irreligiosa, miscredente, atea e così via. Per giungere a cotesto resultato, cotesta teoria ha dovuto costruire, su la base media della volontarietà, ed esclusi gli estremi della mancanza di consapevolezza e di direzione nell'operare, una tipica responsabilità eguale per tutti gli uomini(39). Ed è qui, che, come per ironia alla vantata e celebrata giustizia, il principio della legge eguale per tutti si tramuta dialetticamente nella massima ingiustizia:
      perché gli uomini sono in realtà socialmente e naturalmente disuguali innanzi alla legge.
      Su questa dialettica si sono esercitati da un pezzo sociologisti, e socialisti, e critici d'ogni maniera.


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Discorrendo di socialismo e di filosofia
di Antonio Labriola
pagine 183