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      Per rimaner nell'esempio, che mi è più familiare pei miei recenti studii, il papato superimperiale precipitò sì nella persona di Bonifacio VIII, secondo la profezia di Dolcino, che di tre anni gli sopravvisse; ma non precipitò per dar luogo all'Apocalisse. Fu inflitta al papato sì l'umiliazione dell'esilio avignonese, ma non per dar luogo a un nuovo impero di Cesari, secondo l'utopia dell'Alighieri. C'erano allora già i prodromi dell'evo moderno, cioè i preannunzii del regno della borghesia. Filippo il Bello, che di lontano arieggia al principato civile, nel quale due secoli dopo la borghesia percorse la prima tappa del suo dominio politico su la società, mandava all'estremo supplizio i Templari, come per dire che l'epopea delle crociate finisse per opera dei cristiani stessi. E perché il motto della situazione ci fosse perfino nell'aneddoto, che sempre denuncia e smaschera gli stridenti passaggi dell'ironia della storia, il commissario del sire di Francia a preparare l'umiliazione di Anagni non fu un capitano di banda feudale, ma un legista, che negoziò il danaro occorrente alla bisogna in una cambiale rilasciata a un banchiere di Firenze.
      Furono questi legisti, e principi usurpatori di diritti storici, e banchieri accumulatori del danaro, che poi divenne più tardi il capitale, quelli i quali iniziarono la moderna società così trasparente nella prosaica struttura degli intenti e dei mezzi suoi. Come su le altre rovine della società corporativa e feudale, così anche su le rovine del patrimonio ecclesiastico s'è assisa questa crudele borghesia, che, sfidatrice delle potenze misteriose, ha inaugurata l'èra del pensiero e della libera ricerca.


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Discorrendo di socialismo e di filosofia
di Antonio Labriola
pagine 183

   





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