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      Ma finora fu dato solo ai fattucchieri di credere o di dare a credere, che coi soli desideri si riesca a conglutinare una parte di noi stessi con alcun bene in genere, prodotto o non prodotto che esso si sia.
      Con la psicologia non è lecito di scherzare. Non saprei dire in poche parole quanta parte di essa debba entrare nei presupposti della economia. So di certo però, che la più parte dei concetti psicologici, che edonisti e non-edonisti vanno cacciando dentro all'economia, ha un certo che di messoci a posta ad usum delphini, un certo che di escogitato e non di trovato, un certo che di accidentalmente tratto dalla volgare terminologia e non di criticamente vagliato; onde è il caso di ripetere tractent fabrilia fabri. E so anche questo, che dal bisogno al lavoro ci corre tutta la formazione psicologica dell'uomo; ci corre quanto ci corre dal sentimento privativo della sete, che è il bisogno del bere, che il bambino non associa ancora, non dirò ai movimenti che gli occorrono, per procurarsi da bere, ma nemmeno alla rappresentazione dell'acqua, sino all'atto del lavoratore provetto, il quale per matura volontà d'intelletto, per volontà nella quale esperienza ed immaginazione, imitazione ed inventiva fanno uno, scava un pozzo, o apre una fontana. Ridurre e scheletrizzare cotesta viva formazione in un'arida nomenclatura, questo fu il difetto della psicologia vulgaris, e questa il più delle volte gli economisti, anche ai giorni nostri, prendono a premessa delle loro speciali elucubrazioni.


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Discorrendo di socialismo e di filosofia
di Antonio Labriola
pagine 183