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      Or questa fu per l'appunto, e come per anticipazione, la disposizione d'animo e di mente di quelli che lo scrissero. Di ciò che avean superato per virtù di pensiero, il quale sopra pochi ma chiari dati di esperienza anticipi sicuro gli eventi, essi non esprimevano, oramai, se non la eliminazione e la condanna. Il comunismo critico - questo è il vero suo nome, e non ve n'è altro di più esatto per tale dottrina - non recitava più coi feudali il rimpianto della vecchia società, per poi fare a rovescio la critica della società presente: - anzi non mirava che al futuro. Non si associava più ai piccolo-borghesi nel desiderio di salvare il non salvabile: - come ad esempio la piccola proprietà, o il quieto vivere della piccola gente, cui la vertiginosa azione dello stato moderno, che della società attuale è l'organo necessario e naturale, torna grave e pesante solo perché esso stato, rivoluzionando di continuo, reca in sé e con sé la necessità di altre nuove e più profonde rivoluzioni. Né traduceva in arzigogoli metafisici, o in riflessi di morboso sentimento, o di religiosa contemplazione, i contrasti reali dei materiali interessi della vita di tutti i giorni: - anzi questi contrasti rendeva ed esponeva in tutta la prosa loro. Non costruiva la società dell'avvenire su le linee di un disegno, in ogni sua parte armonicamente condotto a finimento. Non levava parole di lode e di esaltazione, o di evocazione e di rimpianto, alle due dee della mitologia filosofica, la Giustizia e la Eguaglianza: alle due dee, cioè, che fanno così trista figura nella misera pratica della vita cotidiana, quando si riesca ad intendere, come la storia da tanti secoli si procuri l'indecente passatempo di fare e di disfare quasi sempre a controsenso degl'infallibili dettami loro.


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In memoria del Manifesto dei comunisti
di Antonio Labriola
1895 pagine 79

   





Giustizia Eguaglianza