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      Ma, dal giorno in cui apparve, essa fu la critica anticipata di quel socialismus vulgaris, che vegetò per l'Europa, e specialmente in Francia, dal Colpo di Stato all'apparizione della Internazionale, la quale, del resto, nel breve periodo di sua vita, non ebbe tempo di vincerlo, di esaurirlo, di eliminarlo del tutto. Si alimentava cotesto socialismo volgare, quando non d'altro e di più sconnesso, principalmente delle dottrine e assai più dei paradossi di Proudhon, il quale, superato già da lungo tempo teoricamente da Marx3, non fu praticamente battuto se non durante la Comune, quando i seguaci suoi, per la più salutare lezione delle cose, furon costretti a fare il contrario delle dottrine proprie e del maestro.
      Fin dal primo momento in cui apparve, questa nuova dottrina del comunismo fu la critica implicita di ogni forma di socialismo di stato, da Louis Blanc a Lassalle. Il socialismo di stato, per quanto commisto allora a tendenze rivoluzionarie, si concentrava tutto nella favola, nell'Hokus Pokus, del diritto al lavoro. Questo è termine insidioso, se implica domanda che si rivolga ad un governo, sia pure di borghesi rivoluzionarii. Questo è assurdo economico, se si ha in mente di sopprimere la variabile disoccupazione, che influisce sul variare dei salarii, ossia su le condizioni della concorrenza. Questo può essere artificio di politicanti, se è ripiego per sedare le turbolenze di una massa agitantesi di proletarii non organizzati. Questa è una superfluità teoretica, per chi concepisca nettamente il corso di una rivoluzione vittoriosa del proletariato; la quale non può non avviare alla socializzazione dei mezzi di produzione, mediante la presa di possesso di questi: ossia non può non avviare alla forma economica, in cui non c'è né merce né salariato, e nella quale il diritto al lavoro e il dovere di lavorare fanno uno nella necessità comune a tutti che tutti lavorino.


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In memoria del Manifesto dei comunisti
di Antonio Labriola
1895 pagine 79

   





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