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      Chi misuri l'attuale movimento proletario, e il suo corso vario e complicato, alla impressione che di sé dee lasciare il Manifesto, quando la lettura di esso non sia accompagnata da altre conoscenze, può facilmente credere, che qualcosa di troppo giovanile e prematuro fosse nella sicura baldanza di quei comunisti di or fa cinquant'anni. Nelle parole loro c'è come un grido di battaglia, e l'eco della vibrata eloquenza di alcuni oratori del cartismo, e l'annuncio quasi di un nuovo '93, ma così fatto, da non dar luogo a un novello Termidoro.
      E il Termidoro, invece, è venuto, e s'è ripetuto più volte nel mondo, in forme varie, e più o meno esplicite o dissimulate; ne fossero autori, dal 1848 in qua, ex-radicali alla francese, o ex-patrioti all'italiana, o burocratici alla tedesca, adoratori in idea del dio stato e in pratica buoni servi del dio danaro, o parlamentari all'inglese, scaltriti negli artifici e ripieghi dell'arte di governo, o perfino poliziotti in maschera di anarchisti di Chicago, e simili. E di qui le molte proteste contro il socialismo, e di qua e di là le argomentazioni di pessimisti e di ottimisti contro la probabilità del suo successo. A molti pare che la costellazione del Termidoro non debba più sparire dal cielo della storia; ossia, per parlare in prosa, che il liberalismo, che è la società degli eguali in diritto presuntivo, segni l'estremo limite della evoluzione umana, e che di là da esso non possa darsi che regresso. A ciò s'accomodano volentieri tutti quelli, che nella sola successiva estensione della forma borghese a tutto il mondo ripongono la ragione ed il fine di ogni progresso.


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In memoria del Manifesto dei comunisti
di Antonio Labriola
1895 pagine 79

   





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