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      La sua incoerenza con le rigide leggi del processo delle cose si faceva chiara appunto in Proudhon; che, o riproduttore inconsapevole, o diretto ricopiatore di alcuni dei socialisti unilaterali inglesi, voleva intendere, fermare o mutare la storia su la punta di una definizione, o con l'arma di un sillogismo.
      I comunisti critici riconobbero il diritto della storia di fare il suo cammino. La fase borghese è superabile, sì, e sarà superata. Ma, finché dura, ha le sue leggi. La relatività di queste sta nel fatto, che esse si formarono e si svilupparono in determinate condizioni; ma relatività non vuol dire semplice opposto di necessità, ossia fugacità, mera apparenza, o anzi bolla di sapone. Possono sparire e spariranno, per il fatto stesso del mutarsi della società. Ma non cedono all'arbitrio soggettivo, che annunci una correzione, proclami una riforma, o formuli un progetto. Il comunismo sta dalla parte del proletariato, perché in questo solo consiste la forza rivoluzionaria, che rompe, infrange, sommuove e dissolve la presente forma sociale, e pone dentro di questa via via nuove condizioni; anzi, per essere più esatti, col fatto stesso del suo moto dimostra, che le condizioni nuove vi si creano, e fissano, e svolgono fin da ora di già.
      La teoria della lotta di classe era trovata. Si conosceva da due capi: nelle origini della borghesia, il cui processo intrinseco era già reso chiaro dalla scienza dell'economia; e in questa apparizione del nuovo proletariato, condizione ed effetto al tempo stesso della nuova forma di produzione.


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In memoria del Manifesto dei comunisti
di Antonio Labriola
1895 pagine 79

   





Proudhon