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      Meditate anzitutto su questo nome, il quale vuol dire «femina che ama tutti» e sotto il quale il D'Annunzio adombra la meretrice, «la femina di tutti» e poi leggete:
      E l'amerò nelle sue membra impure,
      e coglierò tutto il desio terreno,
      conoscerò tutto l'amor del mondo....
      fra le braccia di una puttana! - Come vedete, il porco, che, per un momento, s'era mascherato da cigno, è rimasto porco. E che porco! - La grossolana turlupinatura fece nausea - ed è tutto dire - perfino allo stesso D'Annunzio: si trattava nientemeno di uno sforzo contro la sua speciale natura di femmina debosciata, e perciò doveva fallire; ma, giusto allora, al gran rumore che facevano le opere del Nietzsche e, specie, il «Così parlò Zaratustra», quella sua stessa speciale natura, nella quale prevale la femmina, lo trasse una seconda volta all'imitazione; ma fu - come sappiamo - una imitazione insulsa e ridicola, perchè la sua natura di femmina e di porco lo trasse, a traverso una sequela di ridicole concezioni «superumane» di eroi da alcova e di eroi da manicomio, lo trasse, dico, a concepire, come l'ultima e la più elevata forma di superuomo, quella dell'androgine, o se vi piace meglio, quella di sè stesso. - Le Vergini delle rocce, Gioconda, Gloria, Più che l'Amore, Fuoco sono i principali gradini pei quali egli vuol dare ad intendere di salire verso la più sicura ed assoluta affermazione della sua «superumanità», e in quella vece non fa che ammannire i più irrefragabili documenti della prevalente sua femminilità corrotta, che delira, evaporando in impotente lascivia e in vanità inane.


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La Superfemina abruzzese
di Enotrio Ladenarda
Pedone Lauriel Palermo
1914 pagine 253

   





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