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      - Guardateli, dunque, cotesti suoi eroi «superuomini» nei quali successivamente egli ritrae, ogni volta, tutte le sue qualità negative. Vorrebbero essere degli ingrandimenti della sua davvero minuscola personalità, e non riescono invece - parrebbe impossibile - che ad impicciolirla di più! - Gli è che il D'Annunzio non obbedisce che all'impulso che egli può soltanto ricevere dalla qualità precipua della sua femminezza, dico la vanità, la quale costantemente produce l'effetto opposto all'illusione di chi ne subisce l'imperio. Come quelle tinture per capelli di cui non pochi ridicoli vecchi si servono per dare agli occhi altrui l'illusione della loro «giovinezza» e non fanno, invece, che più presto gridare in pubblico la loro senilità, così la vanità - (questo cosmetico di cui il Divo si serve per nascondere la sua piccolezza) - inducendolo a rappresentarsi nei suoi eroi «superuomini» che, a causa delle loro sperticate dimensioni rettoriche, cascano nel grottesco e nel ridicolo, non fa che meglio mettere in mostra la sua minuscola intellettualità e la vuotezza della sua vita di vanesio millantatore di sè stesso.
     
     *

      Poichè il D'Annunzio è refrattario a qualsiasi serio grande ideale, e poichè - a causa della sua speciale natura di effeminato e di debosciato - non può essere altra cosa che un sensuale, e della peggiore specie, come tutti gli impotenti, è chiaro che i suoi alter-ego, i protagonisti delle opere citate, non posseggono alcun mezzo adeguato all'attuazione della «grande idea» che egli loro suggerisce, la quale - si badi bene - è sempre un'idea che non sorge dall'intimo d'una coscienza, ma che viene di fuori (perchè è un'idea scelta come un tema che si dà a svolgere nel giorno degli esami a degli scolaretti) e dalla quale finiscono per essere schiacciati: voglio dire che gli eroi nominali dei romanzi e dei drammi del Divo si dileguano tutti in una vacuità di parole «eroiche» e di parole «grandi», parole eroicamente e grandemente assurde, grottesche e ridicole, e tutti finiscono per ridursi alle dimensioni d'uomini men che comuni, volgari ed abietti: o delinquenti o lascivi.


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La Superfemina abruzzese
di Enotrio Ladenarda
Pedone Lauriel Palermo
1914 pagine 253

   





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