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      E a lato a ciascuno di cotesti «eroi-superuomini per burla» il Divo pone costantemente una donna pronta a soddisfarne le voglie di satiro nominale, o ad esaltarsi alla balorda idea d'una assurda ridicola impresa. È questo il condimento necessario affinchè gli eroi dannunziani riescano prediletti al volgo dei lettori-barbieri, i quali, nella impossibilità di avvedersi della miseria superumana di cotesti eroi, vedono però bene in essi degli eroi da alcova, le cui giostre d'amore costantemente combattute colla lingua - come si addice a formidabili maschi - sono le immagini in cui essi si affisano nelle loro notturne mastrupazioni.
      Ma è bene ripetere le dieci, le cento volte che in cotesti suoi eroi-superuomini il D'Annunzio non fa che ritrarre istrionicamente sè stesso; il che ci fa intendere perchè essi son tutti dei fantocci che egli muove e fa parlare come gli impone la sua vanità, cioè esagerando in essi e illaidendo di più i suoi difetti e i suoi vizii; e intendiamo anche perchè, se essi superano gli uomini, se sono, cioè, dei «superuomini», lo sono solo nella loro falsità verbale e verbosa, nelle loro immagini secentesche, nelle loro similitudini sciocche ed oscure, nelle loro iperboli maniache, nelle loro ripetizioni ossessionanti, nella loro nullità sconfinata di esseri inutili, in fine, nella sfacciataggine senza uguale di laudatori della propria superiorità, come appunto di sè stesso fa il loro autore.
     
     *

      Tutto il suo contatto col Nietzsche consiste nel furto della parola superuomo.


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La Superfemina abruzzese
di Enotrio Ladenarda
Pedone Lauriel Palermo
1914 pagine 253

   





Divo D'Annunzio Nietzsche