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      Qui il Divo pensa a sè stesso. Quell'agonale di ambiguo senso, avente, cioè, senso di combattimento e senso di agonia, ma che è, intanto, una delle solite «preziose» parole di cui egli così spesso rinzeppa i suoi vuoti centoni, e che egli ha messo là per impressionare i lettori sciocchi, conviene in ambo i sensi al minuscolo cinquantenne androgine che vuol combattere e morire per «la Bellezza (?) che egli crea, e per la signoria del mondo» dei cretini. Infatti in Più che l'amore, più e meglio che nelle altre sue opere, egli esalta questo suo istinto, e lo personifica in Brando nel modo che sappiamo, cioè, come può farlo un impotente, il quale finisce come il più volgare dei criminali.
     
     *

      «Ella - (questa sua tragedia) - ricorda alla razza dei Caboto l'antichissima sua vocazione di oltremare, la sua prima sete di avventure e di scoperte, la gioia di propagare di là da ogni confine lo splendore della patria, l'orgoglio di stampare l'orma latina nel suolo inospitale». - Così, ignorantemente, Gabriele.
      I Caboto, Giovanni e Sebastiano, padre e figlio, erano veneziani, ma da gran tempo stabiliti a Bristol durante il regno di Enrico VII, i quali - ben lungi dal propagare di là da ogni confine lo splendore della patria - (la quale, se mai, per essi non sarebbe stata l'Italia, ma solo Venezia) - si proposero di aprire all'Inghilterra una più breve via per le Indie, ed ottennero, a questo scopo, da Enrico VII i mezzi pel viaggio che essi avrebbero fatto verso il nord-ovest.


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La Superfemina abruzzese
di Enotrio Ladenarda
Pedone Lauriel Palermo
1914 pagine 253

   





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