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      Versilia, il giorno dopo la morte di Enotrio).
      Parla Gabriele:
      «Non ho mai veduto un giorno più candido, nè posseduto un cuore più pacato»(18) com'oggi; segno, questo, evidente di due luminosissime verità: la 1a, che la natura s'impipa di Enotrio morto, e fa bene; la 2a, che anch'io - come la natura - di Enotrio morto m'impipo... (ma già me ne impipavo altresì quando egli era vivo)... e faccio bene. - Anche «le sabbie del Motrone - ventiquattr'ore dopo la morte di Enotrio - sono più chiare che nell'estate colma... - Bella espressione, neh?, questa: estate colma! - E ci ho proprio gusto che anche le sabbie del Motrone s'impipino d'Enotrio morto, e che se ne impipino anche le sue acque: «esse stagnano, sì, tra giallicce e verdastre, ma l'urto della maretta le fa rifluire con un increspamento luminoso». - Sì, luminoso e perciò allegro e festante... Ed ecco ancora: «i pini immobili sembra si consumino nella luce per le vette colorate di quel colore bruno che procede innanzi dall'ardore», in febbraio! - Ho detto una sciocchezza? Non importa, ne dico tante! Ciò che importa è che oggi, il giorno dopo la morte di Enotrio, tutto è luce. E se tutto è luce, vuole dire che da per tutto è festa... - Sì, io non ho mai veduto un giorno più candido, nè ho mai posseduto un cuore più pacato», cioè, più estraneo, più indifferente alla morte di Enotrio, il quale - lo sapete - fu un plebeo che si ostinò a restare plebeo non ostante l'influsso benefico dell'«eterno femminino regale»! - Guardate che capricci assurdi son quelli della sorte!


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La Superfemina abruzzese
di Enotrio Ladenarda
Pedone Lauriel Palermo
1914 pagine 253

   





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