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      - Questo particolare, ne son certo, commoverà i critici venturi, i quali consumeranno, in mio onore, botti d'inchiostro per giungere ad intendere che bestie veramente fossero quelle che trascinavano quella sera la mia vettura coperta e nera, poichè avevano le gambe arcate. Io, sì, quelle bestie le ho chiamate cavalli, perchè facevano l'ufficio di cavalli...; ma erano poi cavalli se avevano le gambe arcate? - No, io e Giovannino, non parlavamo più. C'era d'intorno a noi una specie di silenzio soffice... tanto soffice, da potercisi seder sopra a riposare.
      E c'era appena, qua e là, lo stranovocìo di gridi piccoli e selvaggi.
      Vocìo strano.... di gatti selvatici, di jene, di lupi, di gufi? Vattelappesca. Ma noi due niente paura. Udivamo anche le nostre peste, e saremmo stati sordi se non le avessimo udite; ma - vedete caso stranissimo - le udivano, sì, ma nè vicine nè lontane. - Oh! come! Non lontane, sta bene, ma non vicine, poi, oh come! se erano proprio le nostre peste? - Ma pensate che io avevo subìto l'influenza del gran bambinone; pensate che - da quell'ora di contatto ch'io ebbi con lui mi accade di non potere scrivere di checchessia senza dar dentro a delle giovanninissime corbellerie. - Ma andiamo avanti. - L'uno chiamò il nome dell'altro, nell'addio.... - Scusate s'io mi arresto, ma emmi giocoforza arrestarmi per starmene un cotal poco in ammirazione davanti ad una proposizione sì bella: L'uno chiamò il nome dell'altro, nell'addio! - Infatti io esclamai: Giovanni! e Giovanni esclamò: Gabriele!


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La Superfemina abruzzese
di Enotrio Ladenarda
Pedone Lauriel Palermo
1914 pagine 253

   





Giovannino Giovanni Giovanni Gabriele