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      Ben sai", rispose questo, "come credete voi che mia pari mercatanti andassi[n] altrementi attorno?". "Oimè!", disse il frate, "la nostra regola vieta che noi non possiano portare danari addosso". E subito lo gettò nell'acqua. La qual cosa, conosciuta dal mercatante facetamente la già fatta ingiuria essere vendicata, con piacevole riso, pacificamente, mezzo arrossito per vergogna, la vendetta sopportò.
     
      10. Uno lasciò lo usare con uno suo amico, perché quello spesso li diceva male delli amici sua. Il quale lasciato l'amico, un dì, dolendosi collo amico, e dopo il molto dolersi, pregò che li dicesse quale fusse la cagione che lo avesse fatto dimenticare tanta amicizia. Al quale esso rispose: "Io non voglio più usare con teco per ch'io ti voglio bene e non voglio che, dicendo tu male ad altri di me tuo amico, che altri abbiano a fare, come me a fare trista impressione di te, dicendo tu a quelli male di me tuo amico, onde non usando noi più insieme, parrà che noi siamo fatti nimici e per il dire tu male di me, com'è tua usanza, non sarai tanto da essere biasimato, come se noi usassimo insieme".
     
      11. FACEZIA. Uno volendo provare colla alturità di Pittagora come altre volte lui era stato al mondo, e uno non li lasciava finire il suo ragionamento, allor costui disse a questo tale: "E per tale segnale che io altre volte ci fussi stato, io mi ricordo che tu eri mulinaro". Allora costui, sentendosi mordere colle parole, gli confermò essere vero, che per questo contrassegno lui si ricordava che questo tale era stato l'asino, che li portava la farina.


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Scritti letterari
di Leonardo da Vinci
pagine 131

   





Pittagora