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      Ma in fine, la vita debb'essere viva, cioè vera vita; o la morte la supera incomparabilmente di pregio.
      DIALOGO DI TORQUATO TASSO E DEL SUO GENIO FAMILIARE
      (1)
      Genio. Come stai Torquato?
      Tasso. Ben sai come si può stare in una prigione, e dentro ai guai fino al collo.
      Genio. Via, ma dopo cenato non è tempo da dolersene. Fa buon animo, e ridiamone insieme.
      Tasso. Ci son poco atto. Ma la tua presenza e le tue parole sempre mi consolano. Siedimi qui accanto.
      Genio. Che io segga? La non è già cosa facile a uno spirito. Ma ecco: fa conto ch'io sto seduto.
      Tasso. Oh potess'io rivedere la mia Leonora. Ogni volta che ella mi torna alla mente, mi nasce un brivido di gioia, che dalla cima del capo mi si stende fino all'ultima punta de' piedi; e non resta in me nervo né vena che non sia scossa. Talora, pensando a lei, mi si ravvivano nell'animo certe immagini e certi affetti, tali, che per quel poco tempo, mi pare di essere ancora quello stesso Torquato che fui prima di aver fatto esperienza delle sciagure e degli uomini, e che ora io piango tante volte per morto. In vero, io direi che l'uso del mondo, e l'esercizio de' patimenti, sogliono come profondare e sopire dentro a ciascuno di noi quel primo uomo che egli era: il quale di tratto in tratto si desta per poco spazio, ma tanto più di rado quanto è il progresso degli anni; sempre più poi si ritira verso il nostro intimo, e ricade in maggior sonno di prima; finché durando ancora la nostra vita, esso muore. In fine, io mi maraviglio come il pensiero di una donna abbia tanta forza, da rinnovarmi, per così dire, l'anima, e farmi dimenticare tante calamità. E se non fosse che io non ho più speranza di rivederla, crederei non avere ancora perduta la facoltà di essere felice.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





Torquato Leonora Torquato