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      A me interviene non di rado di ripigliare nelle mani Omero o Cicerone o il Petrarca, e non sentirmi muovere da quella lettura in alcun modo. Tuttavia, come già consapevole e certo della bontà di scrittori tali, sì per la fama antica e sì per l'esperienza delle dolcezze cagionatemi da loro altre volte; non fo per quella presente insipidezza, alcun pensiero contrario alla loro lode. Ma negli scritti che si leggono la prima volta, e che per essere nuovi, non hanno ancora potuto levare il grido, o confermarselo in guisa, che non resti luogo a dubitare del loro pregio; niuna cosa vieta che il lettore, giudicandoli dall'effetto che fanno presentemente nell'animo proprio, ed esso animo non trovandosi in disposizione da ricevere i sentimenti e le immagini volute da chi scrisse, faccia piccolo concetto d'autori e d'opere eccellenti. Dal quale non è facile che egli si rimuova poi per altre letture degli stessi libri, fatte in migliori tempi: perché verisimilmente il tedio provato nella prima, lo sconforterà dalle altre; e in ogni modo, chi non sa quello che importino le prime impressioni, e l'essere preoccupato da un giudizio, quantunque falso?
      Per lo contrario, trovansi gli animi alcune volte, per una o per altra cagione, in istato di mobilità, senso, vigore e caldezza tale, o talmente aperti e preparati, che seguono ogni menomo impulso della lettura, sentono vivamente ogni leggero tocco, e coll'occasione di ciò che leggono, creano in se mille moti e mille immaginazioni, errando talora in un delirio dolcissimo, e quasi rapiti fuori di se.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





Omero Cicerone Petrarca