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      Il terzo, incomparabilmente inferiore di numero agli altri due, quasi così disprezzato come il secondo, e spesso anco maggiormente, essere di quelle persone in cui la natura per soprabbondanza di forza, ha resistito all'arte del nostro presente vivere, ed esclusala e ributtata da se; non ricevutone se non così piccola parte, che questa alle dette persone non è bastante per l'uso dei negozi e per governarsi cogli uomini, né per sapere anco riuscire conversando, né dilettevoli, né pregiate. E suddivideva questo genere in due specie: l'una al tutto forte e gagliarda; disprezzatrice del disprezzo che le è portato universalmente, e spesso più lieta di questo, che se ella fosse onorata; diversa dagli altri non per sola necessità di natura, ma eziandio per volontà e di buon grado; rimota dalle speranze o dai piaceri del commercio degli uomini, e solitaria nel mezzo delle città, non meno perché fugge essa dall'altra gente, che per essere fuggita. Di questa specie soggiungeva non si trovare se non rarissimi. Nella natura dell'altra, diceva essere congiunta e mista alla forza una sorta di debolezza e di timidità; in modo che essa natura combatte seco medesima. Perocché gli uomini di questa seconda specie, non essendo di volontà punto alieni dal conversare cogli altri, desiderando in molte e diverse cose di rendersi conformi o simili a quelli del primo genere, dolendosi nel proprio cuore della disistima in cui si veggono essere, e di parere da meno di uomini smisuratamente inferiori a se d'ingegno e d'animo; non vengono a capo, non ostante qualunque cura e diligenza vi pongano, di addestrarsi all'uso pratico della vita, né di rendersi nella conversazione tollerabili a se, non che altrui.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308