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      Diverse cose. Prima, l'intolleranza di ogni simulazione e dissimulazione: alle quali mi piego talvolta nel parlare, ma negli scritti non mai; perché spesso parlo per necessità, ma non sono mai costretto a scrivere; e quando avessi a dire quel che non penso, non mi darebbe un gran sollazzo a stillarmi il cervello sopra le carte. Tutti i savi si ridono di chi scrive latino al presente, che nessuno parla quella lingua, e pochi la intendono. Io non veggo come non sia parimente ridicolo questo continuo presupporre che si fa scrivendo e parlando, certe qualità umane che ciascun sa che oramai non si trovano in uomo nato, e certi enti razionali o fantastici, adorati già lungo tempo addietro, ma ora tenuti interamente per nulla e da chi gli nomina, e da chi gli ode a nominare. Che si usino maschere e travestimenti per ingannare gli altri, o per non essere conosciuti; non mi pare strano: ma che tutti vadano mascherati con una stessa forma di maschere, e travestiti a uno stesso modo, senza ingannare l'un l'altro, e conoscendosi ottimamente tra loro; mi riesce una fanciullaggine. Cavinsi le maschere, si rimangano coi loro vestiti; non faranno minori effetti di prima, e staranno più a loro agio. Perché pur finalmente, questo finger sempre, ancorché inutile, e questo sempre rappresentare una persona diversissima dalla propria, non si può fare senza impaccio e fastidio grande. Se gli uomini dallo stato primitivo, solitario e silvestre, fossero passati alla civiltà moderna in un tratto, e non per gradi; crediamo noi che si troverebbero nelle lingue i nomi delle cose dette dianzi, non che nelle nazioni l'uso di ripetergli a ogni poco, e di farvi mille ragionamenti sopra?


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308