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      Dal che s'inferisce che la filosofia, primieramente è inutile, perché a questo effetto di non filosofare, non fa di bisogno esser filosofo; secondariamente è dannosissima, perché quella ultima conclusione non vi s'impara se non alle proprie spese, e imparata che sia, non si può mettere in opera; non essendo in arbitrio degli uomini dimenticare le verità conosciute, e deponendosi più facilmente qualunque altro abito che quello di filosofare. In somma la filosofia, sperando e promettendo a principio di medicare i nostri mali, in ultimo si riduce a desiderare invano di rimediare a se stessa. Posto tutto ciò, domando perché si abbia da credere che l'età presente sia più prossima e disposta alla perfezione che le passate. Forse per la maggior notizia del vero; la quale si vede essere contrarissima alla felicità dell'uomo? O forse perché al presente alcuni pochi conoscono che non bisogna filosofare, senza che però abbiano facoltà di astenersene? Ma i primi uomini in fatti non filosofarono, e i selvaggi se ne astengono senza fatica. Quali altri mezzi o nuovi, o maggiori che non ebbero gli antenati, abbiamo noi, di approssimarci alla perfezione?
      Timandro. Molti, e di grande utilità: ma l'esporgli vorrebbe un ragionamento infinito.
      Eleandro. Lasciamoli da parte per ora: e tornando al fatto mio, dico, che se ne' miei scritti io ricordo alcune verità dure e triste, o per isfogo dell'animo, o per consolarmene col riso, e non per altro; io non lascio tuttavia negli stessi libri di deplorare, sconsigliare e riprendere lo studio di quel misero e freddo vero, la cognizione del quale è fonte o di noncuranza e infingardaggine, o di bassezza d'animo, iniquità e disonestà di azioni, e perversità di costumi: laddove, per lo contrario, lodo ed esalto quelle opinioni, benché false, che generano atti e pensieri nobili, forti, magnanimi, virtuosi, ed utili al ben comune o privato; quelle immaginazioni belle e felici, ancorché vane, che danno pregio alla vita; le illusioni naturali dell'animo; e in fine gli errori antichi, diversi assai dagli errori barbari; i quali solamente, e non quelli, sarebbero dovuti cadere per opera della civiltà moderna e della filosofia.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308