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      Ma tutti costoro, o certo quasi tutti son caduti in uno di questi due errori. Il primo, e principale, e più comune si è d'aver voluto ammaestrare a vivere (sia sul trono o privatamente) e governar se stesso o gli altri, secondo i precetti di quella che si chiama morale. Domando io: è vero o non è vero che la virtù è il patrimonio dei coglioni: che il giovane per bennato, e beneducato che sia, pur ch'abbia un tantino d'ingegno, è obbligato poco dopo entrato nel mondo, (se vuol far qualche cosa, e vivere) a rinunziare quella virtù ch'avea pur sempre amata: che questo accade sempre inevitabilissimamente: che anche gli uomini più da bene, sinceramente parlando, si vergognerebbero se non si credessero capaci d'altri pensieri e d'altra regola d'azioni se non di quella che s'erano proposta in gioventù, e ch'è pur quella sola che s'impara ordinariamente dai libri? È vero o non è vero che per vivere, per non esser la vittima di tutti, e calpestato e deriso e soverchiato sempre da tutti (anche col più grande ingegno e valore e coraggio e coltura, e capacità naturale o acquisita di superar gli altri), è assolutissimamente necessario d'esser birbo: che il giovane finché non ha imparato ad esserlo, si trova sempre malmenato; e non cava un ragno da un buco in eterno: che l'arte di regolarsi nella società o sul trono, quella che s'usa, quella che è necessario d'usare, quella senza cui non si può né vivere né avanzarsi né far nulla, e neanche difendersi dagli altri, quella che usano realmente i medesimi scrittori di morale, è né più né meno quella ch'ho insegnata io?


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308