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      Perché dunque essendo questa (e non altra) l'arte del saper vivere, o del saper regnare (ch'è tutt'uno, poiché il fine dell'uomo in società è di regnare sugli altri in qualunque modo, e il più scaltro regna sempre), perché, dico io, se n'ha da insegnare, e tutti i libri n'insegnano un'altra, e questa direttamente contraria alla vera? e tale ch'ell'è appunto il modo certo di non sapere e non potere né vivere né regnare? e tale che nessuno de' più infiammati nello scriverla, vorrebb'esser quello che l'adoperasse, e nemmeno esser creduto un di quelli che l'adoprino? (cioè un minchione). Torno a dire: qual è il fine dei libri, se non di ammaestrare a vivere? Ora perché s'avrà da dire al giovane, o all'uomo, o al principe, fate così, ed essere fisicamente certo che se farà così, sbaglierà, non saprà vivere, e non potrà né conseguirà mai nulla? Perché dovrà l'uomo leggere i libri per istruirsi e per imparare, e nel tempo stesso, conoscere ed esser disposto di dover fare tutto il contrario precisamente di quel ch'essi libri gli prescrivono?
      Fatto sta che non per altro il mio libro è prevaluto nell'opinione degli uomini al tuo, a quello del Fénélon, e a tutti i libri politici, se non perch'io dico nudamente quelle cose che son vere, che si fanno, che si faranno sempre, e che vanno fatte, e gli altri dicono tutto l'opposto, benché sappiano e vedano anch'essi niente meno di me, che le cose stanno come le dico io. Sicché i libri loro sono come quelli de' sofisti: tante esercitazioni scolastiche, inutili alla vita, e al fine che si propongono, cioè d'istruirla; perché composti di precetti o di sentenze scientemente e volutamente false, non praticate né potute praticare da chi le scrive, dannosissime a chi le praticasse, ma realmente non praticate neppure da chi le legge, s'egli non è un giovane inesperto, o un dappoco.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





Fénélon