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      Laddove il mio libro è e sarà sempre il Codice del vero ed unico e infallibile e universal modo di vivere, e perciò sempre celebratissimo, più per l'ardire, o piuttosto la coerenza da me usata nello scriverlo, che perché ci volesse molto a pensare e dir quello che tutti sanno, tutti vedono, e tutti fanno.
      Quel che mi resta a desiderare pel ben degli uomini, e la vera utilità specialmente de' giovani, si è che quello ch'io ho insegnato ai principi s'applichi alla vita privata, aggiungendo quello che bisognasse. E così s'avesse finalmente un Codice del saper vivere, una regola vera della condotta da tenersi in società, ben diversa da quella dettata ultimamente dal Knigge, e tanto celebrata dai tedeschi, nessuno de' quali vive né visse mai a quel modo.
      L'altro errore in cui cadono gli scrittori, si è che se anche talvolta hanno qualche precetto o sentimento vero, lo dicono col linguaggio dell'arte falsa, cioè della morale.
      Che questo sia un puro linguaggio di convenzione, oramai sarebbe peggio che cieco chi non lo vedesse. P. e. virtù significa ipocrisia, ovvero dappocaggine; ragione, diritto e simili significano forza; bene, felicità ec. dei sudditi significa volontà, capriccio, vantaggio ec. del sovrano. Cose tanto antiche e note che fa vergogna e noia a ricordarle.
      Ora io non so perché, volendo esser utile più che si possa, ed avendo il linguaggio chiaro ch'ho usato io, si voglia piuttosto adoperare quest'altro oscuro che confonde le idee, e spesso inganna, o se non altro, imbroglia la testa di chi legge.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





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