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      V. Velleio ii. 69. sect. 2, 72. sect. 4, 77. sect. 3. colle note Variorum ai detti luoghi, e l'Hist. des 2 triumv. t. 2. p. 170).
      Filos. Dove andate così di fuga? murco... non sapete niente? F. Di che? M. Di Cesare. F. Oh Dio, gli è successo qualcosa? Dite su presto. Ha bisogno di soccorso? M. Non serve. È stato ammazzato. F. Oh bene. E dove e come? M. In Senato, da una folla di gente. Mi ci trovava ancor io per mia disgrazia, e son fuggito. F. Oh bravi: questo mi rallegra. M. Ma che diavolo? sei briaco? Che mutazione è questa? F. Nessuna. Io credeva che gli fosse accaduta qualche disgrazia. M. Certo che schizzar fuori l'anima a forza di pugnalate non è mica una disgrazia. F. Non è una disgrazia che ne pianga nessuno. La gente piange quando il tiranno sta male, e ride quando è morto. M. Quando anche non fosse morto, non occorreva che tu fingessi in presenza mia che ti sono amico da gran tempo. F. Mentre il tiranno è vivo, non bisogna fidarsi di nessuno. E poi ti corre voce d'essere stato amico di Cesare. M. Come sono tutti gli amici dei tiranni. Il fatto sta che di Cesare in quanto Cesare non me ne importa un fico; e per conto mio lo potevano mettere in croce o squartare in cambio di pugnalarlo, ch'io me ne dava lo stesso pensiero. Ma mi rincresce assai che ho perduta ogni speranza di fortuna, perch'io non ho coraggio, e questi tali fanno fortuna nella monarchia, ma nella libertà non contano un acca. E il peggio è che mi resta una paura maledetta. Se li porti il diavolo in anima e in corpo questi birbanti dei congiurati.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





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