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      Ora volendo cercare quello che potesse avere indotto nell'animo di Teofrasto il sentimento della vanità della gloria e della vita, il quale a ragguaglio di quel tempo e di quella nazione, riesce straordinario; troveremo primieramente che la scienza del detto filosofo non si conteneva dentro ai termini di tale o tal altra parte delle cose, ma si stendeva poco meno che a tutto lo scibile (quanto era lo scibile in quell'età), come si raccoglie dalla tavola degli scritti di Teofrasto, lasciati perire la massima parte. E questa scienza universale non fu subordinata da lui, come da Platone, alla immaginativa, ma solamente alla ragione e all'esperienza, secondo l'uso di Aristotele; e indirizzata, non allo studio né alla ricerca del bello, ma del suo maggior contrario, ch'è propriamente il vero. Atteso queste particolarità, non è maraviglia che Teofrasto arrivasse a conoscere la somma della sapienza, cioè la vanità della vita e della sapienza medesima; essendo che le molte scoperte fatte da' filosofi degli ultimi secoli circa la natura degli uomini e delle cose, vengano principalmente dal confrontare e dal rapportare che s'è fatto le diverse scienze, e quasi tutte le discipline tra loro, e dall'averle collegate l'une coll'altre e per questo mezzo considerate le relazioni che intervengono tra le varie parti della natura, ancorché lontanissime, scambievolmente.
      Oltracciò dal libro dei Caratteri si comprende che Teofrasto vide nelle qualità e nei costumi degli uomini così addentro, che pochissimi scrittori antichi gli possono stare a lato per questo rispetto, se non forse i poeti.


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Operette morali
di Giacomo Leopardi
pagine 308

   





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