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      La perfezione di un'opera di Belle Arti non si misura dal più Bello ma dalla più perfetta imitazione della natura. Ora se è vero che la perfezione delle cose in sostanza consiste nel perfetto conseguimento del loro oggetto, quale sarà l'oggetto delle Belle Arti?
     
      L'utile non è il fine della poesia benchè questa possa giovare. E può anche il poeta mirare espressamente all'utile o ottenerlo (come forse avrà fatto Omero) senza che però l'utile sia il fine della poesia, come può l'agricoltore servirsi della scure a segar biade o altro senza che il segare sia il fine della scure. La poesia può esser utile indirettamente, come la scure può segare, ma l'utile non è il suo fine naturale, senza il quale essa non possa stare, come non può senza il dilettevole, imperocchè il dilettare è l'ufficio naturale della poesia.
     
      Sentìa del canto risuonar le valliD'agricoltori ec.
     
      Più ci diletterebbe una pianta o un animale veduto nel vero che dipinto o in altro modo imitato, perchè non è possibile che nella imitazione non resti niente a desiderare. Ma il contrario manifestamente avviene: da che apparisce che il fonte del diletto nelle arti non è il bello, ma l'imitazione.
     
      Il quattrocento restò dal fare, ma conservava l'idea del bello incorrotta; però benchè non facesse, pure apprezzava il fatto anzi lo cercava: quindi l'infinito studio de' Classici e l'erudizione dominante nel secolo. Il cinquecento col capitale acquistato nel 400 e coll'istradamento del 300 tornò a fare. Ma il seicento perchè era non debole ma corrotto, non solamente non sapea far bene, ma disprezzava il ben fatto anzi gli dispiacea.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913

   





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