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      E la distanza alla quale l'ho portata è spesso più che doppia ed anche tripla di quella a cui la voleva spingere. Questo accade perch'io allora non considero più e non ho per fine della mia azione, di farla andare in quel tal luogo, ma propriamente di vincere e vendicare quella resistenza, e mostrare la superiorità del mio volere e della mia forza sopra il suo volere e la sua forza, la quale tanto più si dimostra, e la vendetta e la vittoria è tanto maggiore quanto io la porto più lontano, e insomma volti allora a quel fine miriamo alla perfezione di esso che così si conseguisce, e perciò non c'importa che veniamo a nuocere a quel primo fine del quale effettivamente in quel punto siamo dimenticati. Applico ora questo caso fisico ai morali.
      Perciò si vuole che le parole che si hanno da aggiungere alla nostra lingua o per arricchirla, o per necessità ec. si prendano dal latino e non dal francese nè dal tedesco ec. chiamando quelle buone e approvandole, e queste barbare, perchè quelle ordinariamente o almeno assai più spesso e facilmente consentono coll'indole della lingua nostra, e le lasciano la sua forma e sembianza nativa e la sua grazia ec. ma queste dissuonano manifestissimamente e sconvengono, e sconvenendo fanno la barbarie, e se son molte guastano le forme native, e la venustà e grazia propria e primitiva della lingua. E questa sconvenienza si scorge anche nelle semplici parole, com'è chiaro, vedendosi subito che vengono da un'altra fonte, laddove le latine non possono venire da un'altra fonte, essendo da quella stessa fonte venuta si può dir tutta intera la lingua italiana, e benchè da essa sia venuta anche la francese, non però la italiana è venuta dalla francese, e quindi per quanto la sorgente sia la stessa, nel corso si può bene il rivo essere, anzi s'è mutato, e alterato, ed ha acquistato proprietà tali, che non ha più nessun diritto di dare ad un altro rivo nato dalla stessa sorgente, le sue acque, come [48]a lui convenienti.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913