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      Un corollario del pensiero posto qui sopra possono essere delle osservazioni sulla vita degli anacoreti senza disturbi e colla speranza quieta e non impaziente del paradiso.
     
      L'espressione del dolore antico, p.e. nel Laocoonte, nel gruppo di Niobe, nelle descrizioni di Omero ec. doveva essere per necessità differente da quella del dolor moderno. Quello era un dolore senza medicina come ne ha il nostro, non sopravvenivano le sventure agli antichi come necessariamente dovute alla nostra natura, ed anche come un nulla in questa misera vita, ma [77]come impedimenti e contrasti a quella felicità che agli antichi non pareva un sogno, come a noi pare, (ed effettivamente non era tale per essi, certamente speravano, mentre noi disperiamo, di poterla conseguire) come mali evitabili e non evitati. Perciò la vendetta del cielo, le ingiustizie degli uomini, i danni, le calamità, le malattie, le ingiurie della fortuna, pareano mali tutti propri di quello a cui sopravvenivano. (infatti il disgraziato al contrario di adesso solea per la superstizione che si mescolava ai sentimenti e alle opinioni naturali, esser creduto uno scellerato e in odio agli Dei, e destar più l'odio che la compassione) Quindi il dolor loro era disperato, come suol essere in natura, e come ora nei barbari e nelle genti di campagna, senza il conforto della sensibilità, senza la rassegnazion dolce alle sventure da noi, non da loro, conosciute inevitabili, non poteano conoscere il piacer del dolore, nè l'affanno di una madre, perduti i suoi figli, come Niobe, era mescolato di nessuna amara e dolce tenerezza di se stesso ec. ma intieramente disperato.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913

   





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