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      Eppure io dico che la felicità consiste nell'ignoranza del vero. E questo, appunto perchè il mondo è diretto alla felicità, e perchè la natura ha fatto l'uomo felice. Ora essa l'ha fatto anche ignorante, come gli altri animali. Dunque l'avrebbe fatto [327]infelice esso, e le altre creature; dunque l'uomo per se stesso sarebbe infelice (eppure le altre creature sono felici per se stesse); dunque sarebbero stati necessari moltissimi secoli perchè l'uomo acquistasse il complemento, anzi il principale dell'esistenza, ch'è la felicità (giacchè nemmeno ora siam giunti all'intiera cognizione nel vero); dunque gli antichi sarebbero stati necessariamente infelici; dunque tutti i popoli non colti, parimente lo saranno anche oggidì; dunque noi pure necessariamente per quella parte che ci manca della cognizione del vero. Laddove tutti gli esseri (parlo dei generi e non degl'individui) sono usciti perfetti nel loro genere dalle mani della natura.
     
      E la perfezione consiste nella felicità quanto all'individuo, e nella retta corrispondenza all'ordine delle cose, quanto al rimanente. Ma noi consideriamo quest'ordine in un modo, e la natura in un altro. Noi in un modo con cui l'ignoranza è incompatibile: la natura in un modo col quale è incompatibile la scienza. E se la natura ha voluto incontrastabilmente la felicità degli esseri, perchè, supponendo che l'abbia posta riguardo all'uomo nella cognizione del vero, ha nascosto questo vero così gelosamente che secoli e secoli non bastano a discoprirlo?


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913