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      Di ciō si hanno molti esempi nelle storie. Il fatto di Giuliano moribondo, non so se sia storia o favola. Di Niobe, dopo la sua sventura, [505]si racconta, se non fallo, come bestemmiava gli Dei, e si professava vinta, ma non cedente. Noi che non riconosciamo nč fortuna nč destino, nč forza alcuna di necessitā personificata che ci costringa, non abbiamo altra persona da rivolger l'odio e il furore (se siamo magnanimi, e costanti, e incapaci di cedere) fuori di noi stessi; e quindi concepiamo contro la nostra persona un odio veramente micidiale, come del pių feroce e capitale nemico, e ci compiaciamo nell'idea della morte volontaria, dello strazio di noi stessi, della medesima infelicitā che ci opprime, e che arriviamo a desiderarci anche maggiore, come nell'idea della vendetta, contro un oggetto di odio e di rabbia somma. Io ogni volta che mi persuadeva della necessitā e perpetuitā del mio stato infelice, e che volgendomi disperatamente e freneticamente per ogni dove, non trovava rimedio possibile, nč speranza nessuna; in luogo di cedere, o di consolarmi colla considerazione dell'impossibile, e della necessitā indipendente da me, [506]concepiva un odio furioso di me stesso, giacchč l'infelicitā ch'io odiava non risiedeva se non in me stesso; io dunque era il solo soggetto possibile dell'odio, non avendo nč riconoscendo esternamente altra persona colla quale potessi irritarmi de' miei mali, e quindi altro soggetto capace di essere odiato per questo motivo. Concepiva un desiderio ardente di vendicarmi sopra me stesso e colla mia vita della mia necessaria infelicitā inseparabile dall'esistenza mia, e provava una gioia feroce ma somma nell'idea del suicidio.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913

   





Giuliano Niobe