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      Ma parlo di quella libertà, di quelle tanto e diversissime figure della dizione, per le quali la lingua nostra si diversificava dalla francese dell'Accademia, era suscettibile di tutti gli stili, era così lontana dal pericolo di cadere nell'arido, nel monotono, nel matematico, e in somma di quelle che la rendevano similissima nel genio, nell'indole, nella facoltà, nel pregio alle lingue antiche, e specificatamente alla greca, alla quale si accostava da vicino anche nelle forme particolari e speciali, cioè non solamente nel genere, ma anche nella specie: siccome alla latina si accosta sommamente per la qualità individuale de' vocaboli e delle frasi. Ma oggidì ella va a perdere, anzi ha già perduto presso [687]il più degli scrittori, le dette qualità che sono sue vere, proprie, intime, e native; e dico anche presso quegli scrittori che a gran fatica arrivano pure a preservarsi dai barbarismi. (e qui riferite quello che ho detto altrove, come in detti scrittori facciano pessima comparsa le parole e modi italiani, in una tessitura di lingua che per quanto non sia barbara, non è l'italiana: e gli antichi accidenti in una sostanza tutta moderna e diversa.) E così anche la lingua nostra si riduceva ad essere una processione di collegiali, come diceva, se non erro, il Fénélon, della francese. Del che mi pare che bisogni stare in somma guardia, tanto più, quanto la inclinazione, lo spirito, l'andamento dei tempi, essendo tutto geometrico, la lingua nostra corre presentissimo rischio di geometrizzarsi stabilmente e per sempre, di inaridirsi, di perdere ogni grazia nativa (ancorchè conservi le parole e i modi, e scacci i barbarismi), di diventare unica come la francese, laddove ora ella si può chiamare un aggregato di più lingue, ciascuna adattata al suo soggetto, o anche a questo [688]e a quello scrittore; e così divenuta impotente, in luogo di contenere virtualmente tutti gli stili (secondo la sua natura, e quella di tutte le belle e naturali lingue, come le antiche, non puramente ragionevoli), ne contenga uno solo, cioè il linguaggio magrissimo ed asciuttissimo della ragione, e delle scienze che si chiamano esatte, e non sia veramente adattata se non a queste, che tale infatti ella va ad essere, e lo possiamo vedere in ogni sorta di soggetti, e fino nella poesia italiana moderna de' volgari poeti.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913

   





Accademia Fénélon