Pagina (645/1913)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      E ciò nasce che le cose ancora vivono sempre, e si modificano sempre novellamente, e si moltiplicano le conosciute: ora una lingua non è mai perfettamente ricca, anzi perfettamente fornita del necessario, finch'ella non può esprimere perfettamente, e convenientemente tutte le cose, e tutte le possibili modificazioni delle cose di questo mondo. Sicchè una lingua non avrà più mestieri di accrescimento, allora solo quando o essa o il mondo sarà finito.
      Quali effetti produca poi, e quanto sia pericoloso il volere arrestare una lingua, come già perfetta, e lo scoraggirsi di accrescerla, per la persuasione [776]che ciò non sia più necessario, nè lecito e giovevole, nè possibile, si può vedere in quello che ho detto della lingua latina.
      E prima di partire da questo soggetto della ricchezza e copia e bontà generale e potenza delle lingue proccurata principalmente dalla copia e varietà ed ingegno degli scrittori, osserverò che quella medesima superiorità di circostanza ch'ebbe la lingua greca sulla latina, e che fu seguita dall'effetto di restarle realmente e sempre superiore nella sostanza, l'abbiamo noi pure sopra tutte le altre lingue viventi, e colte. Perchè siccome la coltura della lingua greca, e gli scrittori suoi, incominciati assai per tempo, abbracciarono lunghissimo spazio, e il loro numero fu grande in ciascun tempo; e siccome in proporzione di questo spazio e di questo numero, la ricchezza e varietà e potenza della lingua greca, crebbe in modo che non potè mai essere agguagliata dalla latina: così la lingua italiana [777]scritta già come ho detto da sei secoli in qua, e, si può dire, in ciascun secolo, abbondantissima di diversissimi scrittori e cultori, ha su tutte le altre lingue moderne e colte quello stesso vantaggio di circostanza ch'ebbe la greca sulla latina.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913