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      Le dette voci ch'io raccomando alla lingua italiana, sono ottime e necessarie, non sono ignobili, ma non sono eleganti. La bella letteratura alla quale è debito quello che si chiama eleganza, non le deve adoperare, se non come voci aliene, e come si adoprano talvolta le voci forestiere, notando ch'elle son tali, e come gli ottimi latini scrivevano alcune voci in greco, così per incidenza. I diversi stili domandano diverse parole, e come quello ch'è nobile per la prosa, è ignobile bene spesso per la poesia, così quello ch'è nobile ed ottimo per un genere di prosa, è ignobilissimo per un altro. I latini ai quali in prosa non era punto ignobile il dire p.e. tribunus militum o plebis, o centurio, o triumvir ec. non l'avrebbero mai detto in poesia, perchè queste parole d'un significato troppo nudo e preciso, non convengono al verso, benchè gli convengano le parole proprie, e benchè l'idea rappresentata sia non solo non ignobile, ma anche nobilissima. I termini della filosofia scolastica, riconosciuti dalla nostra lingua per purissimi, sarebbero stati barbari nell'antica nostra poesia, come nella moderna, ed anche nella prosa elegante, s'ella gli avesse adoperati come parole sue proprie. [1228]E se Dante le profuse nel suo poema, e così pur fecero altri poeti, e parecchi scrittori di prosa letteraria in quei tempi, ciò si condona alla mezza barbarie, o vogliamo dire alla civiltà bambina di quella letteratura e di que' secoli, ch'erano però purissimi quanto alla lingua. Ma altro è la purità, altro l'eleganza di una voce, e la sua convenienza, bellezza, e nobiltà, rispettiva alle diverse materie, o anche solo ai diversi stili: giacchè anche volendo trattar materie filosofiche in uno stile elegante, e in una bella prosa, ci converrebbe fuggir tali termini, perchè allora la natura dello stile domanda più l'eleganza e bellezza che la precisione, e questa va posposta.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913

   





Dante