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      La condizione primitiva della lingua era di esser viva: ora il ridurla allo stato [1294]assoluto di morta, si chiamerà conservarla qual ella era, e quale ce la trasmisero i suoi formatori? Dunque conservare una parola, una forma, un significato, un suono antico, ec. e sbandire una voce o modo barbaro, una cattiva ortografia, un significato male applicato ec. tutte cose particolari ed accidentali, e quel ch'è più mutabili, tutto questo si chiamerà conservare la lingua. E lo spogliarla delle sue facoltà generali, ed essenziali, e immutabili, non si chiamerà guastarla o alterarla, ma anzi conservarla? Dico immutabili, fin tanto ch'ella non muti affatto qualità, e di viva diventi morta. Il solo immutabile nella lingua sono le facoltà che costituiscono il suo carattere, parimente immutabile. Le parole, i modi, i significati, le ortografie, le inflessioni ec. niente di questo è immutabile, ma tutto soggetto all'uso per propria natura. Così che i nostri bravi puristi vogliono eternare nella lingua la parte mortale, e distruggere l'immortale, o quella che tale dev'essere, se non si vuol mutare la lingua. E l'uso di tali facoltà creatrici, ch'io dico immortali, deve essere perpetuo finchè una lingua vive, appunto perchè la novità delle cose e delle idee (alle quali serve la lingua) [1295]è perpetua. Che se non fosse perpetua, la lingua potrebbe allora perdere dette facoltà, e vivere nello stato delle lingue morte. Ma essendo la novità delle cose perpetua, ripeto che non si può conservare la lingua senza mantenerle intieramente le sue primitive facoltà creatrici, e che lo spogliarla di queste è lo stesso che ridurla necessariamente alla barbarie; giacch'ella barbara o no, finch'è parlata e scritta non può morire; e non potendo vivere nella sua prima condizione, cioè durando la novità delle cose senza ch'ella possa più esprimerle del suo proprio prodotto, vivrà nella barbarie.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913