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      (20. Sett. 1821.)
     
      Alla p.1743. marg. Infatti è cosa giornalmente osservabile e osservata, che l'uomo di vero talento, applicato a cose per lui nuovissime, aliene ancora dalle sue inclinazioni, occupazioni ordinarie, assuefazioni ec. riesce sempre meglio degli altri; capisce i discorsi appartenenti alle professioni, discipline, cognizioni, ec. le più lontane dalla sua; entra in tutti i raziocinii ben fatti; si capacita senza molta fatica di qualunque affermazione o negazione vera, sufficientemente spiegata, di qualunque probabilità, o parere opportuno; discuopre facilmente le convenienze, [1754]i rapporti ec. o i loro contrarii, nelle cose a lui meno familiari ec. ec. Insomma il carattere di un vero talento, in qualunque genere esso si distingua, (o quantunque non si distingua in nessun genere) è sempre quello di una capacità generale di mente. Siccome quegli organi esteriori o materiali (come la mano ec.) che posseggono in grado eminente qualche abilità, sono per lo più capacissimi di facilmente contrarne delle altre, ancorchè diversissime. Così la persona svelta ec. ec.
      (20. Sett. 1821.). V. p.1778. fine.
     
      Una persona niente avvezza alla buona lingua italiana, chiama e giudica affettato tutto ciò che ha qualche sapore d'italiano, ancorchè disinvoltissimamente scritto, e lontanissimo dall'anticato. E gli antichi scrittori italiani, se non può chiamarli affettati, li giudica però stranissimi, e di pessimo gusto in fatto di lingua; e così forse accade a tutti noi italiani moderni, finchè non ci avvezziamo a quella lingua, e appoco appoco la troviamo meno strana, [1755]e finalmente bellissima.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913