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      La lingua latina, riconosciuta per buona, legittima, e propria della letteratura, non fu mai, sinch'ella si mantenne nella sua primitiva forma, e quando ella fu applicata alla [2058]letteratura, altro che la romana, cioè quella di una sola città. Or quando l'arbitra della lingua è una sola città, per vasta, popolosa, e abitata o frequentata ch'ella sia da diversissime qualità di popolo, e di nazioni, la lingua prende sempre una indole determinata, circoscritta, ristretta a limiti più o meno estesi, ma che sempre son limiti certi e riconosciuti; la lingua si uniforma, si equilibra, per tutti i versi, e perde necessariamente quel carattere di notabile e decisa libertà ch'è proprio delle lingue antiche formate o no, e di tutte le lingue non ancora o non bene formate. La formazione di una lingua e di una letteratura, in tal circostanza, introduce sempre in esse una grande uniformità; siccome accade in Francia, dove Parigi, ch'è pur il centro di tutta la vasta nazione, e sì frequentata da forestieri d'ogni parte d'Europa, essendo però l'arbitra siccome de' costumi, così della lingua e della letteratura nazionale, le dà quella uniformità [2059]medesima, quella circoscrizione, quella limitazione, quella servitù che dà allo spirito, e a tutte le altre parti della società, e che nè queste nè quelle sicuramente avrebbero mai avute, senza la somma influenza di una vasta capitale sull'intera nazione. V. p.2120.
      In Roma il frequente e giornaliero uso pubblico, e perciò colto, della lingua latina o romana, nel senato, nelle concioni, nelle cose forensi, e la infinita e vivissima e strettissima società ch'esisteva in quella città, massime pubblica, ma, specialmente negli ultimi tempi della repubblica, anche privata, doveva necessariamente esercitare, ed esercitava un'estrema e decisissima influenza sulla lingua, e sulla letteratura.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913

   





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