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      (18. Nov. 1821.). V. qui sotto immediatamente.
     
      L'Italia non ha capitale. Quindi il centro della lingua italiana si considera Firenze, come già si considerò la Sicilia. In tutte le monarchie la buona e vera lingua nazionale risiede nella Capitale, (Parigi, Madrid, o Castiglia, Londra ec.) più o meno notabilmente secondo la grandezza, l'influenza, la società di essa capitale, e lo spirito e gli ordini politici e sociali della nazione.
      Quando il centro della lingua non è la capitale, il che non può essere se non quando capitale non v'è, esso non può nè pretendere nè esercitare di fatto una più che tanta nfluenza (quando anche le capitali n'esercitano poca, se oca influenza hanno politica e sociale). Così accadde in recia. Atene non esercitò nè pretese più che tanto impero sulla lingua. In Germania nessun paese l'esercita o lo pretende.
      [2123]Di più tale influenza, qualunque sia o sia stata, non può essere che temporanea, dipendente dalle circostanze, e soggetta a scemare, crescere, svanire, mutar di posto nsieme con esse. Tale influenza non derivando dall'essere i capitale, nè dall'influenza politica, non può derivare se on da quella influenza sociale che è data da una maggioranza di coltura e letteratura, e che si esercita mediante queste. Firenze e la Toscana ebbero infatti questa maggioranza dal 300 al 500 (sebbene nel 500. non tanta, e però la loro influenza sulla lingua fu allora effettivamente minore.) Oggi tanto è lungi che l'abbiano, che, lasciando la lingua dove i toscani sono più ignoranti che qualunque altro italiano (come furono in parte anche nel 500.), secondo che apparisce da tuttociò che si stampa in quel paese (intendo la lingua scritta), Firenze in letteratura sottostà a tutte le altre metropoli e città [2124]colte d'Italia, eccetto forse Roma, e la Toscana se non a tutte le provincie italiane, certo cede al Piemonte, Lombardia, Veneziano, e non supera punto nè le Marche, nè il Napoletano.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913

   





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