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      Putant esse, dice Festo, quod [2309]grano fabae adhaeret. Dunque egli non sa propriamente che significhi, nè si sapeva al suo tempo. Ed è cosa ben naturale quando tante parole di Dante e d'altri trecentisti o duecentisti (meno lontani da noi, che le origini della lingua latina da Festo) sono o di oscurissima e incertissima, o di perduta significazione.
      Io credo che esso non significhi altro che materia, o cosa esistente (che per li primitivi uomini non poteva essere immaginata se non dentro la materia, ed estendi questo pensiero.). E penso che sia nè più nè meno l'????dei greci, ossia quell'antichissimo hilh o hulh che abbiamo detto.
      Vogliono che nihil, sia troncamento di nihilum. Al contrario a me pare che nihilum sia parola così ridotta da nihil, perchè divenisse capace di declinazione. Che troncamento barbaro sarebbe stato questo, e quanto contrario al costume latino, se da nihilum primitivo, avessero fatto nihil! e non piuttosto viceversa, [2310]che è naturalissimo. Addolcendosi la favella (massime quelle del gusto meridionale, del gusto della latina) non si troncano, anzi si aggiungono appunto allora le terminazioni, e si proccura inoltre di render declinabili, cioè modificabili secondo le diverse occorrenze del discorso, le voci che già esistono; e non per lo contrario. Indubitatamente per tanto non nihil da nihilum, ma questo viene da quello. Si dice parimente nil contrazione di nihil, (fatto più volte monosillabo da Lucrezio) ma nilum per nil si trova in Lucrezio appena una volta, e chi sa s'è vero, e che non sia errore in vece di nihilum dissillabo.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913

   





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